Cosa succede ai prezzi del caffè? I motivi dietro l’aumento

I maestri della tostatura media

Ce ne siamo resi conto tutti, il prezzo del caffè sta aumentando a velocità e livelli mai registrati prima.

Cosa sta succedendo alla tanto amata tazzina?

Dalla crisi globale delle materie prime, al peso degli eventi climatici estremi, insieme alle critiche del ministero del Made in Italy all’Unione europea; i rincari sono ora alle stelle.

È il momento giusto per parlare del valore del caffè?
Leggi l’articolo per saperne di più!

Iniziamo l’articolo dalle cause di questi incrementi senza precedenti, che tutte insieme concorrono quotidianamente a peggiorare la situazione già grave, sia per con i consumatori, sia per chi lungo la filiera ci lavora.


Le coltivazioni in Brasile, che da solo produce i ⅔ del caffè consumato a livello globale, Vietnam, Colombia, Costa Rica e Honduras hanno risentito dei danni dovuti all’alternarsi di periodi di siccità prolungata, alternata a forti piogge anomale, con un conseguente crollo delle produzioni.
Così, i prezzi di arabica e robusta sui mercati internazionali hanno raggiunto i massimi dagli anni Settanta.
Questa situazione climatica instabile ha gettato poi ulteriore preoccupazione anche sulla resa dei prossimi raccolti, aumentando il nervosismo in un mercato già piuttosto irrequieto.


Il prezzo del caffè crudo non viene stabilito dal coltivatore in autonomia, o dal trasportatore, ma neanche dall’importatore. Il prezzo del crudo viene stabilito dalla borsa, più precisamente da quella di New York per il caffè Arabica, e da quella di Londra per il caffè Robusta, le due specie più commercializzate al mondo.

Gli eventi sopra citati hanno spinto le quotazioni di borsa a livelli record, riflettendosi anche sui consumatori finali.


Le diverse guerre in atto hanno:

  • Modificato la logistica, deviando le rotte storiche di transito delle navi container, allungando di conseguenza i tempi e i costi dei trasporti;
  • Aumentato il costo del carburante, che incide sempre sui trasporti;
  • Aumentato il costo del gas, rendendo la produzione delle aziende più costosa

Tutto ciò si riflette sul prezzo finale che oggi il caffè ha.


L’inflazione, che da sola ha causato già un grosso danno alle tasche dei consumatori finali, se viene poi sommata alle voci precedenti, ecco che tutto diventa ancora più pesante.


Il nuovo regolamento UE sulla deforestazione, il tanto citato EUDR, ha imposto vincoli delle volte troppo complicati per i paesi in via di sviluppo, che non possono sempre garantire le certificazioni ambientali previste dalla normativa, riducendo così la quantità di caffè crudo importato in Europa.

Questo nuovo regolamento in realtà è utile e direi anche essenziale al giorno d’oggi, fornendo nuovi limiti e linee guida all’uso sostenibile delle terre atte alla coltivazione di caffè e altri prodotti.
Deve essere considerato quindi un grande incentivo, un nuovo punto di partenza per una filiera più etica e rispettosa dell’ambiente, utile anche come strumento di comunicazione di un maggior valore per il prodotto caffè.

Ciò non toglie che soprattutto i paesi di produzione più poveri affrontano serie difficoltà nell’adeguamento alle normative, con governi che non supportano i piccoli e medi contadini, dove regna la corruzione e dove la burocrazia delle volte è proprio assente.


L’ingresso di Cina, India e Medio oriente nel mercato del caffè ha scombussolato gli equilibri mondiali ormai consolidati da decenni.
Paesi storicamente devoti al tè hanno iniziato a consumare massivamente anche il caffè, puntando in particolar modo sull’alta qualità.

L’economia ci insegna che se si produce meno caffè, ma la domanda mondiale aumenta, aumentano anche i costi della materia prima, diventando sempre più preziosa e ricercata.


Come sempre, quando ci sono barlumi di speranza per guadagni ingenti, c’è anche chi se ne approfitta, aggravando ulteriormente la situazione complessiva.


Di questo passo l’ipotesi della tazzina a € 2,00, prevista tra il 2026 e il 2027, nei bar italiani non è più un miraggio, ma una possibilità che giorno dopo giorno si fa sempre più concreta.

Ora, la questione che dovrebbe emergere non è solo quella economica. Dovremmo fare anche una riflessione sul valore di questa materia prima.

Infatti è proprio la percezione del valore a determinare il prezzo di un bene. Se il caffè continua a essere considerato solo come una commodity, non gli verrà mai portato il rispetto che merita.
E non si può ridurre il discorso neanche alla sola elevata qualità del caffè.

Un caffè espresso a € 2,00?
Se viene ben gestito il valore del prodotto, in un’ottica etica e di educazione del consumatore, la tazzina può arrivare anche a € 5,00 o più!

Vi porgo un esempio: non si è mai sentito parlare del prezzo generico di un calice di vino, come se in qualsiasi locale, ristorante o pub dovesse costare sempre e solo € 4,00, senza considerare dove, chi e come l’ha coltivato, secondo quali pratiche agricole, certificazioni e tutte le informazioni che conosciamo sul vino.
Sarebbe ora che il caffè venga considerato e valorizzato come qualsiasi altro prodotto della filiera agroalimentare, differenziato in base al suo valore intrinseco ed estrinseco.

Il caffè infatti non è solo una bevanda (e non è solo espresso o moka), ma rappresenta una lunghissima filiera fatta di persone.
Considerate quante mani passano i chicchi di caffè prima di arrivare a voi: coltivatore – washing station – milds center – broker esportatore – trasportatore – broker importatore – distributore di caffè verde – torrefattore – distributore – barista – consumatore finale.

Ogni tazzina di caffè racchiude il lavoro di persone che spesso operano in condizioni difficili, in paesi colpiti da instabilità politica e cambiamenti climatici, altre volte con stipendi da fame e basati sullo sfruttamento delle risorse. Se pensiamo che tutte queste persone, aziende, realtà e quindi anche famiglie, si mantengono con una tazzina alla volta da € 1,20, ecco che forse inizia a sembrare troppo poco.

Urge quindi l’invito ai consumatori a considerare il caffè non solo per il suo prezzo, ma per il valore che rappresenta.

In Italia ciò potrebbe significare un cambiamento nelle abitudini di consumo, con una maggiore attenzione alla qualità e alle etichette più descrittive, all’etica aziendale e al rispetto della filiera e dei suoi diretti collaboratori.

Bisognerà ripensare al caffè come un’esperienza complessiva, che racchiude storie di territori e persone, garantendo che ogni sorso di caffè sia non solo un piacere sensoriale, ma anche un atto di consapevolezza e responsabilità.

Da questa analisi abbiamo compreso che non è possibile per un gestore assorbire ulteriormente altri costi senza adeguare i prezzi del caffè al consumatore finale.

La situazione presenta una sfida significativa per i gestori di bar e torrefattore. È cruciale trovare un equilibrio tra il profitto e la soddisfazione del cliente per garantire la sopravvivenza a lungo termine dei locali e delle altre realtà del settore. Considerando poi che ad oggi non si prevede uno stop agli aumenti delle borse del caffè, ma anzi un rialzo continuo almeno per tutto il 2025 ciò non può più essere ignorato.

A livello di filiera, l’aumento dei prezzi potrebbe incentivare i produttori a investire in pratiche agricole più resilienti e sostenibili, come l’adozione di tecnologie climaticamente intelligenti o varietà di caffè più resistenti. Tuttavia, il rischio di una maggiore concentrazione delle forniture tra pochi attori globali potrebbe ridurre le opportunità per i piccoli coltivatori di competere.

Il rialzo delle materie prime non può essere interpretato come un fenomeno isolato o temporaneo, ma come il risultato di una convergenza di fattori strutturali, geopolitici e di mercato. La capacità di affrontare queste sfide definirà il futuro dell’economia globale.

Marketing, E-commerce e Social Media Manager
Coffee Lover

Author

Martina Mazzoleni

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